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Mario Sironi 1885-1961, la mostra al Vittoriano

Mario Sironi 1885-1961, la mostra al Vittoriano
Autore: Gabriele Santoro - Redazione Cultura
Data: 03/10/2014

 Picasso, parlando di Sironi, disse: “forse avete il più grande artista del momento e non ve ne rendete conto”. Al pittore, scultore e architetto sardo, uno dei più grandi Maestri del Novecento Italiano, è dedicata la mostra allestita al Complesso del Vittoriano fino all’8 febbraio 2015 e inaugurata la mattina del 4 ottobre.

Novanta fra le sue opere più rappresentative ripercorrono le sue stagioni, a partire dagli esordi simbolisti, con un interesse verso il liberty che sarà presto abbandonato. Dopo aver conosciuto Boccioni ad inizio del XX secolo, entrerà nello studio di Balla, rivelando la passione per la costruzione e la solidità, non solo stilistica ma anche morale e filosofica. Nel 1931 dirà che “bisogna costruire perché necessario”, fondamento della sua fede etica ed estetica.

Nonostante l’avvicinamento al futurismo, a partire dal 1913, non si riconoscerà nell’esigenza iconoclasta della corrente, desiderosa di distruggere le istituzioni come musei e accademie. Anzi, da innamorato del classico coglierà l’aspetto costruttivo del futurismo, nella costruzione, nella volumetria e nel dinamismo plastico, espressioni della solidità.

Dopo il ritorno a Roma nel 1919, aderirà alla corrente metafisica di De Chirico e Carrà, ma anche qui con una fisicità che quasi contrasta la definizione stessa di metafisica: prende sì dal mondo dei Manichini, ma avvicinandolo ai drammi dell’uomo e non riferendosi un mondo “altro”. Un esempio è La lampada, raffigurazione di una donna sola in una stanza spoglia. Che altri non è che la moglie, rimasta nella capitale per le ristrettezze economiche, mentre Sironi andrà a Milano.

Un ulteriore cambiamento porterà Sironi alla fase dei paesaggi urbani, simbolo della durezza della vita ma mai della disperazione. Il pensiero lo porterà sempre a reagire. È la realtà vista dall’infinito, in una sorta di eternità laica. Anche il concetto di famiglia sarà diverso. In quegli anni nelle rappresentazioni il padre domina la scena, con la madre nel salotto, Sironi penserà a paesaggi lunari senza tempo. Così come i suoi lavoratori, titanici e drammatici, non figli della propaganda della dittatura fascista, che li voleva contenti della partecipazione alla – fittizia – grandezza del Paese. Già, la dittatura. Sironi, certamente un fascista anche diciannovista, non sarà mai un cantore del regime. Anche nelle sue opere monumentali o nella vetrata per il Ministero delle Corporazioni non sarà celebrativo.

La pittura murale sarà poi un nuovo modo di Sironi di concepire l’arte. Non solo come stile, ma come rivoluzione borghese affinché gli affreschi e i mosaici divenissero accessibili a tutti e non chiusi nelle mostre e nelle biennali. Come una pittura sociale insomma. Così fino al senso di impotenza che finirà per prevalere nelle sue ultime opere, evidente ne Il lavoro, dove uno scalpellino dal fisico gramo non riesce a tenere in mano il materiale da lavorare. L’uomo non può nulla, l’azione è impedita da uno spirito che ci domina. Ma c’è un messaggio finale positivo. La persistenza rimarrà, non più nell’uomo, certo, ma nella natura, che ad esso sopravvivrà.

 

Per informazioni su biglietteria ed orari della mostra, www.comunicareorganizzando.it




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